La visita alla mostra di Tamara De Lempicka

Negli ultimi mesi ho sentito parlare tanto della mostra di Tamara de Lempicka, così tanto che quando è stata inaugurata, pur non potendo essere presente al vernissage, mi sono documentato sulla vita e le opere dell’artista, sistemando su due paginette della mia inseparabile Moleskin una serie di richiami storici ed artistici che ho trovato sulle opere esposte.

Un mio amico, conosciuto durante uno stage che avevo potuto fare alcuni anni fa in un importante ristorante francese, mi ha regalato il catalogo della mostra e finalmente, la scorsa settimana, sfruttando una pausa anticipata in cucina al Solferino, ho potuto esaudire il mio piccolo desiderio ed andare a visitare la mostra. Esco trafelato dal ristorante, verso via Micca. Percorro la splendida via “diagonale” di Torino (mi avevano spiegato che via Micca è stato necessario realizzarla in questo modo perchè collegava due zone piuttosto slegate del centro) con il naso all’insù. I pochi minuti che mi separano da Piazza Castello sono un viaggio nella storia.

Ricordate la Chiesa di San Tommaso di cui avevo scritto un po’ di tempo fa? La leggendaria ricetta di Fra Bajon: è una struttura strana, che interrompe la regolarità della via. Mi piace molto. E poi ogni volta che penso alle mogli torinesi che in confessione rivolgevano appelli al frate, rido come un matto.

Ed è sufficiente spostare lo sguardo dall’altra parte della strada per ammirare Palazzo Bellia. Palazzo Bellia è davvero l’emblema di una sperimentazione che a Torino creava edifici incredibili agli inizi del ‘900. Un edificio strano, che ricordo da sempre.

Arrivato in Piazza Castello, tiro dritto verso Palazzo Reale e mi fermo un attimo quando mi ritrovo in asse tra via Garibaldi e Palazzo Madama.

Passo i dioscuri della cancellata di Palazzo Reale (non ricordo mai la leggenda legata a questo ingresso) e per fortuna, forse per l’ora, trovo solo una piccola coda. Ci contavo. Non ho molto tempo.

Ed eccomi nella mostra, in Palazzo Chiablese.

Donna stranissima ed affascinante la Tamara!

Ho letto sulla sua biografia, scritta dalla stessa curatrice della mostra, Gioia Mori, che dichiarava  tutti i suoi anni: diceva di esser nata nel 1902 ed invece era nata 4 anni prima. Dichiarava poi di essere polacca, mentre pare fosse essere nata a Mosca.

Ancora bambina iniziò un lungo viaggio nei paesi del sud Europa, Italia compresa e visita Firenze, Venezia e Roma, per poi andare a Mentone, da dove la nonna ogni giorno raggiunge Montecarlo per giocare al casinò, mentre lei impara a dipingere sui sassi, seguendo gli insegnamenti di un giovane francese.

Decide di sposare un avvocato nobile polacco, Tadeusz Lempicki. In occasione del matrimonio, così racconta, conosce un diplomatico siamese, di cui si invaghisce e con cui ha una storia appena tornata dal viaggio di nozze.

Ragazzi, che tipa incredibile. Penso non avesse molto tempo per annoiarsi!

Un’altra cosa che ho trovato divertente nella sua biografia è l’incontro con il futurista Marinetti: l’incontro avviene nel 1924, in un locale (La Rotonde o La Brasserie), durante il quale decidono di andare a incendiare il Louvre, intenzione miseramente naufragata al commissariato, dove vanno a recuperare l’automobile della Lempicka rimossa perché parcheggiata in sosta vietata.

Adesso capisco perché la cantante Madonna è innamorata della De Lempicka: ai suoi tempi era già un’icona!!!

Credo davvero che abbia fatto di tutto e abbia girato il mondo come se la sua vita fosse un continuo alternarsi di tappe di un viaggio.

Mi piacciono moltissimo tutti i suoi quadri esposti, qualcuno lo trovo davvero geniale, come ad esempio la suora che piange.

Starei qui tutto il giorno a guardare e riguardare i suoi colori ed i suoi corpi, ma purtroppo credo di essere già in ritardo. Urca, è passata più di un’ora, devo andare!!!

Ripercorro il mio tragitto verso il Solferino, per fortuna 5 minuti e sarò in cucina.

Con un’idea fissa in testa: prima o poi inserirò nel menu un piatto su questa grandissima artista!

Chef Solferino

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