Quando Steve Jobs cenò nei ristoranti di Torino

Per una volta abbiamo voglia di raccontare qualcosa dei ristoranti di Torino non direttamente legati al nostro locale. Perché?

Forse perché ci fa piacere essere parte della vita sociale e della storia della nostra città. O anche per poter raccontare una storia che forse non molti conoscono e che riguarda niente meno che il Guru della tecnologia: Steve Jobs.

Questa storia inizia qualche anno fa, nel 2011, quando il nostro Chef Solferino visita una mostra su Steve Jobs al Museo Regionale di Scienza Naturale.

Era la prima volta, dopo la scomparsa del guru americano della tecnologia, che si raccoglieva in un’unica mostra in Italia una collezione così ricca di oggetti, ricordi, memorabilia e storie su di lui.

Colpito da una vita piena di illuminazioni, di idee matte e di fulminanti colpi di genio, appena uscito dalla mostra, lo Chef cerca in libreria quello che in poche settimane si è trasformato in un best seller: la biografia (quasi) autorizzata su Steve Jobs, scritta da Walter Isaacson.

Pubblicato sull’onda emotiva della morte dell’icona americana della tecnologia, il libro ripercorre tutta la vita del genio californiano.

Per lo Chef Solferino sono due notti di lettura rubata al sonno, per ripercorrere le tappe fondamentali di una rivoluzione che si è consumata in pochi decenni e che ha sovvertito il rapporto tra l’uomo e la comunicazione.

Ed alle 2.35 della notte di una fredda domenica d’inverno gli arriva una folgorazione; nei primi capitoli del libro legge:

«Passai due settimane meravigliose a Torino, che è una città industriale piena di vita»

Steve Jobs nel 1974 era stato a Torino, trovandola frizzante ed accogliente!!!

Superato lo sbigottimento (“WOW, Steve a Torino. Sarà salito sulla Mole? Ma gli avranno fatto assaggiare il vermouth e il bicerin? Ma no, era fruttariano. Ma già lo era?”) lo Chef Solferino inizia ad incuriosirsi, volendo capire dove fosse andato a cenare Jobs in quel lontano ’74, quali fossero i luoghi di una visita così lontana nel tempo, chi fosse stata la sua guida.

Tanti giornali torinesi hanno pubblicato nel 2011 l’estratto di quel libro, il breve racconto della visita, ma cercando in giro è difficile trovare altri particolari di una Torino così ben decantata.

Cinque anni dopo, lo chef decide di raccontare quello che ha scoperto indagando, due piccole rivelazioni che ci permettono di scoprire qualcosa in più di quel viaggio di Jobs…

Steve Jobs arrivò a Torino nel periodo in cui lavorava in Atari, la leggendaria azienda americana di videogames, che aveva riempito con i suoi giochi Arcade tutti i bar del mondo.

Era il 1974, Jobs aveva quasi vent’anni e veniva accolto da una Torino molto popolosa, contando su oltre un milione e duecentomila abitanti. Il sindaco era l’architetto Giovanni Picco e da poco tempo a Mirafiori si producevano le Fiat 131.

In una intervista a Ronald Wayne, collega in quei giorni a Torino con Jobs, anche lui dipendente Atari dal 1973 e poi co-fondatore di Apple, si ritrova un frammento di vita italiana degli anni ’70.

Wayne racconta che giunti in Europa avevano saputo di una serie di problemi che in Italia rendevano difficile l’utilizzo delle monete per giocare nei bar con i videogiochi Atari: l’inflazione galoppante aveva obbligato la Banca d’Italia all’immissione di una enorme quantità di banconote, mentre la coniazione di monete era scarsa.

La voracità delle gettoniere dei juke-box, dei flipper, delle varie biglietterie automatiche, la massiccia “richiesta” da parte dei fabbricanti di orologi giapponesi che trasformavano le nostre monete di ottima lega in casse per il loro prodotto ed altri fenomeni avevano creato una enorme penuria di moneta.

Il distributore dei prodotti Atari si chiamava Bertolino e per circa due settimane ospitò il gruppo di americani, provando a raccontare le bellezze e le tradizioni della città della Mole.

La sua azienda, la Bertolino snc, da un paio d’anni, nel suoi stabilimenti, realizzava legalmente degli esemplari pressoché identici agli originali di classici Atari come Asteroids, Missile Command, Centipede.

E Bertolino aveva ottenuto dalla casa americana l’esclusiva italiana per la realizzazione dei giochi a moneta da bar.

Leggenda vuole che avesse addirittura realizzato un gioco in proprio, Combat, progettato dal torinese Leonello Bione e realizzato da Paolo Lodini.

Bertolino aveva colpito gli americani per un suo stratagemma commerciale: non essendo facile trovare monete da utilizzare nei videogiochi, aveva fatto creare dei gettoni speciali che poi avrebbero potuto essere ricambiati in moneta attraverso macchinette cambia-soldi.

Il gruppo sappiamo che festeggiò il rinnovo dell’accordo di distribuzione in un ristorante (forse il Cambio), di cui gli americani raccontarono essere “un ristorante con oltre 150 anni di storia e con uno staff che sembrava arrivare anch’esso dall’ottocento!”

Ed invece cenarono molte altre volte in un locale di cui Jobs racconta: “Mi portava tutte le sere a cena in un posto in cui c’erano solo otto tavoli e nessun menu. Dicevi semplicemente all’oste che cosa volevi e lui lo preparava. Uno dei tavoli era riservato al presidente della Fiat.”

E qui viene fuori un’altra rivelazione dello Chef Solferino. Il locale era il Gatto Nero, storico locale torinese di origine toscana, dove pranzavano abitualmente l’Avvocato Agnelli e l’avvocato Gabetti, storico collaboratore del Presidente della Fiat.

Il Gatto Nero nasce come bistrot per studenti, negli anni ’60 e negli anni ’70, in linea con il boom economico, si è trasformato in un ristorante di lusso.

Resta così un immagine un po’ sbiadita, ma certamente molto positiva di una città che pur descritta in quegli anni da molti come grigia e triste, veniva in realtà considerata piena di energie vitali nell’industria e nei servizi innovativi.

Voi cosa ricordate di bello di quegli anni?

MA

 

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