Il Castelmagno, uno dei simboli dell’eccellenza gastronomica del Piemonte, è nato dalla creatività dei pastori dell’Alta Valle Grana, prodotto sin da tempi antichissimi.
Si tratta di un formaggio stagionato e a pasta semi-dura, ottenuto dal latte vaccino di più mungiture consecutive, eventualmente addizionato con latte ovino e/o caprino. La particolare varietà e il sapore delle erbe presenti nei pascoli, danno a questo formaggio un sapore davvero unico. Il latte proviene da vacche appartenenti alle razze tipiche dell’arco alpino, in particolare la Piemontese, la Bruna Alpina e le varie Pezzate Rosse.
Considerato il Re dei formaggi, pur avendo una storia millenaria, si è guadagnato sul campo premi e apprezzamenti internazionali: alla sua prima partecipazione al Campionato internazionale dei formaggi nel Wisconsin, nel 2002, si è guadagnato subito il primato come campione del mondo per la categoria «prodotti a pasta dura», classificandosi davanti al Parmigiano-Reggiano.
Ma proviamo a tornare indietro nel tempo, tra storia e leggenda…
Si racconta che Carlo Magno, quando apparve per la prima volta sulla sua tavola assaggiò il Castelmagno soltanto dopo averne accuratamente scartato le muffe verdi, frutto della lunga stagionatura. Ma dopo lunghe insistenze si lasciò convincere a provare anche queste, per innamorandosene al punto da non farlo mai mancare tra i piatti preferiti. Le prime notizie di un formaggio con questo nome, utilizzato come forma di pagamento delle gabelle (tasse sugli scambi e sui consumi di alcune merci) dagli abitanti della zona, risalgono alla fine del tredicesimo secolo; probabilmente però la sua produzione iniziò ben prima, intorno all’anno mille.
Che il Castelmagno fosse rinomato anche in tempi molto remoti, lo dimostra addirittura il testo di una sentenza arbitrale del 1277, relativa all’usufrutto di alcuni pascoli in contestazione fra i Comuni di Castelmagno e di Celle di Macra.
Il comune di Castelmagno ebbe la peggio ed il prezzo della sconfitta fu il pagamento in natura, sotto forma di canone annuo, di alcune forme di formaggio Castelmagno da versare al Marchese di Saluzzo. Questo canone annuo consisteva precisamente in sette forme di formaggio Castelmagno, d’Alpeggio naturalmente. La forma di formaggio rappresentava una unità di scambio e valeva circa dodici denari, cifra che dimostra il valore dell’epoca del prezioso formaggio.
E sempre intorno al 1200, il possesso di alcune forme di Castelmagno costituì il pretesto per una guerra tra i comuni di Cuneo e Saluzzo, guerra che durò – si racconta – trent’anni, uno per ogni forma di formaggio contesa.
Cinque secoli più tardi un decreto di Vittorio Amedeo II di Savoia ordinerà “la regalità di rubbi nove di formaggio“.
Il re sabaudo era così ghiotto di questo cibo, da decretare nel 1722 l’obbligo per la comunità di Castelmagno di inviargli annualmente, oltre a un reddito in soldi, anche 9 rubbi di formaggio.
Anche i Papi di Avignone ne erano grandi estimatori, consumandolo sovente nei loro sontuosi palazzi. L’Ottocento è l’epoca d’oro di questo prestigioso formaggio: il Castelmagno diventa il re dei formaggi italiani e compare nei menu dei più rinomati ristoranti d’Europa, primi fra tutti quelli di Londra e di Parigi.
Dopo un periodo in ombra in cui oltre a rischiare seriamente di scomparire – rimase quasi del tutto sconosciuto al grande pubblico, agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso iniziò una nuova ascesa alla notorietà.
Il Castelmagno ottiene nel 1982 il riconoscimento nazionale DOC e successivamente, nel 1996, il riconoscimento europeo DOP.
Nel 2002 è stato riconosciuto ufficialmente il Consorzio per la tutela del Castelmagno con lo scopo di promuovere e tutelare questo eccellente formaggio.
Molto interessante la codifica del marchio: il marchio di origine rappresenta una “C” stilizzata con nella parte alta delle montagne e in basso una forma di formaggio tagliata. Sopra il tutto viene apposta una etichetta di carta fustellata detta sventolina a forma di elica che ripete il marchio di origine: per le forme prodotte in montagna la scritta sarà in campo blù per quelle d’alpeggio in campo verde muschio.
E cosa bere in abbinamento a questo splendido formaggio?
Il Dolcetto si sposa al Castelmagno poco stagionato, il Barbera d’Asti o il Barbaresco a quello più stagionato che può essere anche abbinato a passiti di moscato. A livello nazionale, si può provare con l’Amarone della Valpolicella e con i classici toscani (Brunello di Montalcino, Sassicaia). Uno degli abbinamenti più raffinati è sicuramente quello con Gattinara, presto approfondiremo proprio questo splendido connubio.
Ottimi anche gli abbinamenti al Marsala o al Passito di Pantelleria, oppure con il Sauternes o con un Porto decisamente invecchiato.