A pochi passi dal Solferino, in via Alfieri, angolo con via XX Settembre, c’è un portone inquietante, non per nulla chiamato “il portone del diavolo”, adorno di frutta, fiori, cupidi e varie simbologie, ma anche di un minuscolo topolino, attuale sede della Banca BNL.
Il portone appartiene al Palazzo Trucchi di Levaldigi, una costruzione imponente fatta erigere nel 1673 su disegni di Amedeo di Castellamonte.
Trucchi fu un personaggio politico con numerosi incarichi, tra cui quello di Ministro delle Finanze, conte di San Michele di Mondovì, di Levaldigi e barone della Generala, una villa principesca da lui stesso costruita.
Il portone è stupendamente intagliato nel legno, adorno di frutta, fiori, cupidi e varie simbologie.
Quel che più affascina è il batacchio, posto al centro dei battenti sempre perfettamente lucidato, raffigurante il Diavolo sogghignante che scruta i passanti.
Difficilmente si può dare una motivazione del perché sia ora conosciuto come “Il palazzo della porta del diavolo”, se non per il batacchio, anche se i battenti del portone si spalancano su un palazzo che trabocca di misteri e leggende che ormai si consolidano con il passar del tempo.
Nell’anno 1790 nel palazzo, che appartenne per un breve periodo di tempo a Marianna Carolina di Savoia, fu preparata una festa durante il carnevale con orchestrali, danzatrici, artisti; al fondo di una sala era raffigurata una scena infernale, le danzatrici coperte di minuscoli abiti ballavano tra le fiamme, dimenandosi come invasate simboleggiando le anime dannate.
Un ricevimento mondano sconvolto dal grido di una ballerina, tale Emma Cochet, ma alcuni la indicano con il nome di Vera Hertz, che si accasciò pugnalata mortalmente.
Le ipotesi furono molte, tuttavia il colpevole non fu mai identificato e neppure l’arma venne mai ritrovata.
Scrisse Alberto Fenoglio:“Quasi fosse un segno di riprovazione del cielo per il delitto, si scatenò sulla città, benché non ne fosse la stagione, una tempesta notturna impressionante in cui la pioggia scrosciava violenta, i lampi si susseguivano quasi ininterrottamente e il tuono accompagnava il temporale con un frastuono così forte che tremava tutto il palazzo.
La tragedia aveva fatto scendere un velo di gelo, di mestizia e anche paura su tutti, ma la gran paura esplose quando venne un lampo accecante seguito immediatamente da un rimbombo tremendo, fragori di vetri infranti, un soffio gelido, violento che spazzò il salone e spense tutte le luci, determinando il panico e una precipitosa fuga degli invitati”.
Non passò molto tempo che alcuni “testimoni” videro passeggiare un fantasma; evanescente scrutava le persone per poi scomparire attraverso i muri.
Altra storia. Durante l’occupazione francese, anno di grazia 1817. Il maggiore Melchiorre Du Perril, che stava per mettersi in viaggio con documenti top secret, entra nel palazzo maledetto e scompare. E vent’anni dopo, durante dei lavori, un paio di muratori rinvengono, tra due muretti laterali, il suo scheletro sepolto in piedi: supposizione avvalorata dai pochi brandelli di stoffa di un’uniforme, anzi di quella uniforme, rimasti attaccati alle povere spoglie.
Il “Portone del Diavolo” è sopravvissuto al passare del tempo, alle guerre e rimane un’opera d’arte d’ immensa bellezza, tanto che il quotidiano, “Usa Today”, in un servizio dedicato a Torino ne pubblicò alcune affascinanti immagini.
MA