Caffarel e il Gianduiotto: miti torinesi del cioccolato

Nel 1826 Pier Paul Caffarel, originario di Luserna San Giovanni, rilevò una piccolissima conceria situata in via Balbis, nel quartiere San Donato di Torino e la trasformò in un laboratorio per la produzione del cioccolato: Caffarel acquistò una macchina industriale in grado di produrne oltre 320 kg al giorno, una quantità notevole per l’epoca.

L’energia elettrica per macinare i semi di cacao era fornita dalla ruota idraulica della conceria alimentata dalle acque del canale Pellerina. Con un’altra macchina idraulica, costruita dal piemontese Doret, fu in grado di raffinare la polvere di cacao e miscelarla con zucchero e vaniglia.

Stava così nascendo il mito del cioccolato Caffarel.
A Pier Paul successero il figlio Isidore ed il nipote Ernesto Alberto Caffarel, che incontrò un altro rinomato artigiano del cioccolato, Michele Prochet: la sua cioccolateria Prochet Gay & C. si fuse con la Caffarel Padre e Figlio dando vita alla Caffarel-Prochet.

Qualche anno più tardi Prochet, impastando cacao e zucchero con nocciole “Tonda Gentile delle Langhe” macinate, creò un nuovo tipo di impasto di cioccolato e nel 1865, avviò la produzione di un cioccolatino speciale dalla forma tipica che chiamò «givo», in piemontese “mozzicone di sigaro”. Durante la festa di carnevale, Caffarel attraverso la maschera di Gianduja regalò alla folla assiepata sotto il suo carro i nuovi cioccolatini ed è allora che il givo cambiò nome e divenne «Gianduiotto».

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